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SI CHIAMAVA JANIS

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Si chiamava Janis.

L’avevo conosciuta in un bar alla fine della 6° di Abraham street, quella dove vendono i giornali usati a 30 centesimi il kilo.

Le  avevo offerto un bellamy e avevo tirato fuori il mio centone. Era il mio giorno di paga, ma lei aveva pensato che io fossi un ricco ereditiero bohemienne o qualcosa del genere.

Eravamo tutti disperati li dentro, anche il proprietario, Frank. Era un prestanome, era alcolizzato. Un giorno si trovava a corto di grana e suo cognato si prese la briga di presentargli uno strozzino che prestava soldi con interesse al 35%. Chiese 15000 bigliettoni. Voleva fare la scommessa della sua vita puntando su un cavallo drogato, solo che era una settimana che questo cazzo di cavallo correva drogato finche’ tirò le cuoia proprio venti metri dopo la partenza della gara della vita di Frank.

 Era disperato già allora. Ma trovò quel giorno lo strozzino di buon umore perché era il giorno del compleanno di suo figlio Mike. Allora decise che anziché darlo in pasto ai suoi avvoltoi di allevamento, decise di affidargli il bar DumDum. Sapeva che Frank era alcolizzato, e decise di farlo soffrire facendolo lavorare li, dietro al bancone. Installò delle telecamere a circuito chiuso che riprendevano tutte le 14 ore di lavoro di Frank. Appena Frank si fosse azzardato a bere un goccio di qualsiasi cosa contenesse alcol, un sicario lo avrebbe fatto fuori all’istante. Questi erano i patti.

 Lo strozzino era un pazzo sadico e spesso si recava nella sala di controllo per tirarsi una sega su Frank che sudava da matti mentre serviva alcol ai disperati di Abraham street.

Insomma questa storia circolava da un sacco, e io mentre ordinavo da bere, manco ci pensavo a Frank, pensavo a dimenticare il lavoro di merda che facevo il giorno e alla troia di turno che si faceva scopare per 20 bigliettoni o per 5 drink forti.

Janis era nuova del posto, era stata sfregiata al viso dal suo pappone e non poteva più lavorare per strada, ma solo nei bar dove l’alcol e la disperazione migliorano le visioni e le sensazioni.

Purgatori artificiali.

Janis parlava in continuazione, fumava in continuazione e si metteva in continuazione a posto il reggiseno che non riusciva a contenere le sue tette che strabordavano  fuori.

Forse questo era il massimo di sensualità che riusciva ad emanare.

Dopo 5 drink ciascuno finimmo per parlare ubriachi di cose insensate e senza un filo. Ma in ogni discorso che faceva riusciva sempre ad infilarsi in un discorso che riguardava la sola fortuna che aveva ereditato da un ricco vecchiaccio che aveva sposato: un vaso ming.

Ci ritirammo a casa sua perché insisteva che doveva farmi vedere una cosa troppo strana che le era successa al suo vaso ming la settimana prima.

Andammo da lei, era un palazzone ammuffito, abitava nei sotterranei.

C’era una puzza nauseante di animale morto. Più ci avvicinavamo alla sua porta e più si sentiva la puzza. Avevo i conati. Lei continuava a ripetersi: dai è questione di giorni e lo venderò il mio fottuto vaso.

Avanzammo nel buio. Arrivati davanti la porta, diede un calcio netto al finto lucchetto e la aprì. Venne fuori una cazzo di puzza che mi fece ammosciare tutto l’uccello. Pensavo solo a dove dovevo vomitare. C’era a pochi passi un acquario e ci vomitai con tutti i pesci dentro. Lei non mosse un capello. Voleva farmi vedere solo il vaso ming.

Mi prese per mano e mi portò in uno stanzino piccolissimo e mi disse di turarmi il naso. Accese la luce e vidi una sagoma di gatto morto in putrefazione in un vaso cinese.

C’erano mosconi nerissimi dappertutto. Si vedevano le larve delle mosche e i vermi che giravano tra le budella. Vomitai di nuovo nell’acquario. Bevvi qualcosa di forte.

Mi spiegò che aveva preso un gatto abbandonato per strada e se l’era portato a casa. Un giorno stava giocando a palla con il gatto. Per caso la palla finì nel vaso ming e il gatto per prenderla ci si tuffò dentro e rimase incastrato. Lei non riuscì per niente al mondo a disincastrarlo e per niente al mondo voleva spaccare il vaso ming.

Allora decise che l’unica soluzione era far morire il gatto di fame e di sete e aspettare che si riducesse solo alle ossa. Solo cristo lo sa quanti giorni e quante notti ha dovuto ascoltare i lamenti del gatto..

Ecco spiegata quella puzza.

Quella sera non riuscii a scoparmela, ma neanche volli più rivederla quella pazza furiosa. Feci finta di dover vomitare e me ne scappai da quella casa. Uscendo mi rubai una bottiglia di porto che stava sulla credenza e me ne andai al DumDum. Raccontai tutto ai disperati e loro mi offrirono da bere perché gli avevo regalato un sorriso, una storia da raccontare ad un altro disperato. Da allora non ho mai saputo che fine abbia fatto la mia Janis, le ossa del suo gatto ed il suo vaso ming.

 

Ti ho amato per un’oretta buona Janis.

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