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VIAGGIO IN INDIA CON CAPITANJANNONE E L'OCCHIO DELLA SAGGEZZA

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La visione era nitida: con un piccolo investimento iniziale, io e Capitanjannone, saremmo diventati “leader del settore” in poco tempo.

Io già mi vedevo nelle sfilate milanesi , con la mia collezione”mistica”, e poco importava se non stata mai capace di infilare un filo nella cruna dell’ago, questo era un dettaglio superabile. Vero, Antonio?

Racimolato il nostro gruzzoletto, frantumato il mio storico porcellino salvadanaio, partimmo per la nostra missione: New Delhi solo andata! Naturalmente il biglietto era adir poco economico, dopo una quindicina di scali, giungemmo nella megalopoli indiana. Afa, non sapevano dove andare, persi tra i dodicimilioni di indiani, io cominciai ad avere i primi dubbi sul faraonico progetto, ma ebbi cura di non rivelarli, temendo l’ira gromolese- peggio di quella di Achille- del mite Antonio, che si era esaltato ed era pronto  a sfidare la tigre indiana con il piano di marketing  intinto nell’aglianico.   Prima, però, di dedicarci alla nostra missione,dovevamo addentrarci nello spirito dell’India, immergerci nel Gange per  apprendere l’anima del luogo. Naturalmente, cominciammo dalla cucina, visto che il profumo delle spezie si insinuava nelle narici con forza, ci fermavamo ad ogni bancarella,annusavamo  ad ogni finestra del sobborgo, che avevamo scelto come quartier generale della nostra premiata ditta. Dopo un paio di giorni di abbuffate, di pollo tandoori, riso, lassi, Cpitanjannone fu colpito dalla dissenteria del viaggiatore nella sua forma più virulenta, era giallo come un limone, delirava, mentre io, celebre per  essere una persona comprensiva delle altrui esigenze, me andavo in giro per le viuzze di Delhi vecchia, persa nel pantheon indiano, Shiva, Visnù.  Ero decisa a ricevere a tutti i costi l’illuminazione, il nirvana, la luce interiore. Superata la dissenteria, Antonio, divenuto magrissimo come un rishi indiano, perché l’aria mistica dell’India giovava alla nevrosi gromolese, decidemmo che era giunta l’ora di  lanciarci nella bolgia del mercato indiano.  Nelle interminabili contrattazione sul prezzo di un anello o su un metro di seta, rigurgiti di comunismo mi salivano alla testa, lo spirito no global si dimenava nei chacra, aperti dalla meditazione,  posi fine ai miei sogni di gloria e comunicata ad Antonio, lo scioglimento della Bifulco e Iannone corporation,   ci incamminammo nel nostro mistico pellegrinaggio, su treni a carbone, stracolmi come la festa dell’Annunziata a Paestum. Antonio, rapito dall’India, si riproponeva, una volta fatto rientro, di onorare la bufala pestana,  come gli Indiani adorano le loro vacche. Ma fu a Pushkar, bellissima località su un lago, che accadde l’imponderabile.  Una mattina, alle prime luci dell’alba, mentre ero intenta  a meditare sulla forma di un sasso, un bambino si avvicinò e, parlando in italiano, mi invitò a prendere parte ad una preghiera collettiva sulle sponde del lago.

Senza alcuna esitazione mi lanciai al seguito del fanciullo, che era sicuramente un messaggero divino per la mi definitiva conversione all’induismo, Antonio tentò di fermarmi, ma io , intrepida, non ascoltai ragioni e lo obbligai a seguirmi . Giunti sul posto, il bambino, con un sorriso sdentato, scomparve e fummo affidati alle cure spirituali di due improbabili guru. Capii che  era un “paccotto”, confezionato per turisti occidentali, in cerca di spiritualità spicciola, ma mi accinsi, con ardore, nella preghiera.  Per ogni parente, al quale auguravamo lunga vita e buona salute, dovevamo sborsare una decina di rupie. Io mi limitai alla familgia d’origine, ma Antonio, preso dal fervore religioso,estese gli auspici a tutta la sacra famiglia, un centinaio tra zii, fratelli,cugini a nipoti. Al termine del rituale, ci stamparono in fronte, un tondino rosso, simbolo di sapienza. Lo sguardo di Antonio mi fulminò, era furioso,  ma io notai nei suoi occhi qualcosa di diverso, come una luce improvvisa, un bagliore di Shiva. Tentai di calmarlo, ma si chiuse in mutismo e non mi rivolse parola  fino al rientro  a  Capaccio. Da quel giorno, però, cominciò a snocciolare le sue perle di saggezza, le sue massime di vita, i suoi sermoni sul senso delle cose,nemmeno Osho gli tiene piede, tra una calamarata e una fritturina di paranza, potete illuminarvi d’immenso. Se fu  la mistica India o la madre terra  capaccese, solo i posteri potranno dirlo, io intanto mi cimento nella posizione della locusta, medito come una pazza e mi lascio trasportare dai profumi  della buona cucina del nostro unico e solo Capitanjannone.

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